Io, l'altro, gli altri... Il punto più vicino a noi è l'io, ma può essere anche quello che più si allontana da noi. L'io è la realtà più vicina a noi se la recuperiamo nella sua essenzialità. E' quella che più si allontana da noi nel momento in cui la consideriamo nell'assolutizzazione.
Se l'io viene assolutizzato, cioè, si allontana profondamente dalla nostra realtà di essere precari anche se provvisori. E' la realtà più vicina a noi se la consideriamo nella sua espansione fino all'infinito per aggrapparsi all'Assoluto e dissetarsi di Esso.
Quest'io, radice e sbocco di ogni tentazione, se viene esasperatamente vissuto da noi, è la peggiore delle alienazioni perché ci toglie la possibilità di essere qui ed ora.
Quando una persona si strappa via dalle relazioni crono-spaziali, si decapita. La decapitazione del proprio essere avviene quando la persona si sottrae alla collocazione storica.
La persona entra nella storia, vive e si dimena in essa, ma non per terminare nella storia che essendo in perenne evoluzione, è in consumazione. La storia, infatti, si consuma e consuma tutto ciò che in essa confluisce.
La persona nell'io può trovare la realizzazione o la sua rovina. L'altro come si pone in relazione all'io? Si pone nella relazione ontogenetica, realizzativa. Se non c'è l'altro, l'io non c'è. L'io c'è in quanto si mette in relazione all'altro. E' l'altro che lo costituisce nella sua identità per cui esiste la possibilità della discesa della vicinanza e della prossimità per la realizzazione dell'io.
Questo presuppone che ci sia una predisposizione alla discesa e per questo ci può aiutare la parabola del "buon samaritano".
Il samaritano si incontra con un altro, ma per fare questo, deve discendere da cavallo. L'altro era stato malmenato e lasciato mezzo morto al margine della strada.
Badate bene che è il malcapitato a generare il samaritano perché solo quando questi scende dalla cavalcatura, si incontra con lui. Se non fosse sceso da cavallo, non si sarebbe incontrato con il malcapitato, così come non si erano incontrati il sacerdote ed il levita che erano andati oltre e, nel fare questo, non incontrando l'altro, non si sono incontrati col proprio sé.
Per incontrarsi con il proprio io, avrebbero dovuto incontrarsi con l'altro. Ma mummificati com'erano nella loro istituzionalizzazione, il sacerdote ed il levita rimasero racchiusi nella loro tomba. Andando oltre, si persero nella loro identità.
Il samaritano, invece, scese da cavallo e, incontrandosi con il malcapitato, si incontrò con se stesso. Quindi, il malcapitato è prossimo a lui e non viceversa. In questa reciprocizzazione si verifica un fenomeno di elevazione. Prima, però, c'è la discesa che consente l'esperienza della prossimità. Poi il soggetto si eleva fino a raggiungere le vette della propria costituzione nella realizzazione ultima del sé, perché una volta che ha incontrato l'altro, può recuperare la propria dimensione all'allargamento, alla moltiplicazione delle relazioni.
Questo concede l'opportunità di avere una molteplicità di relazioni che stimolano l'attivazione delle potenzialità multiple che in ogni persona sono nascoste, sepolte, inibite, proibite, ostacolate, uccise, annientate.
In questo processo la persona finisce per essere educata... diseducandosi, deprivandosi delle proprie facoltà e, quindi, ponendosi in una condizione di rovina del proprio io.
L'altro, che è accesso agli altri, è l'unica via possibile da percorrere per recuperare il proprio io, attraverso lui, negli altri.
Se l'io non scende nelle profondità del proprio essere, non può incamminarsi nella realizzazione della propria capacità relazionale che lo sottrae al consumo, alla corruzione permanente. Quando la persona si va a conficcare nel rapporto senza cogliere l'essenzialità della relazione che è soggettiva e la sottrae alla fagocitazione della tomba crono-spaziale, non riesce ad emergere da quella dimensione limitativa. E' nella relazione intersoggettiva che l'io si può costruire.
E come avviene questo se la persona non riesce ad approfondire quanto scritto nel Vangelo di Giovanni (13,13-15)?
" [13] Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. [14] Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. [15] Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi".
Gesù, cioè, in quanto Maestro, indica la via per la realizzazione dell'io nell'altro e negli altri. Lava i piedi ai discepoli perché così facendo, incontra la base dell'altro, non solamente il piede, ma coglie l'elemento portante non solo di quella singola persona, ma di quella persona che è il derivato di una struttura poliedrica, sociale, di una dimensione allargata all'umanità intera perché nel codice genetico del piede di uno sono contenuti i piedi di tutti gli altri. Quel piede, infatti, non insorge come un fungo.
Nessun uomo può essere solo. Ognuno è derivato da una serie interminabile di occasioni di trasmissioni per cui ognuno di noi porta dentro di sé tutte le occasioni che nella storia antica, moderna, attuale e futura sono contenute.
Allora, il piede di una persona che ricalca il feto, così come è riportato anche nella forma dell'orecchio, del rene, dei testicoli, ecc., è una forma frattale che sintetizza il modello dell'umanità che si riforma di generazione in generazione fino ad arrivare ad un punto di elevazione che è quella, non della singola persona, ma del genere umano.
"Voi farete cose più grandi di quelle che ho fatto io"...
Se sapendo questo, lo metteremo in pratica, allora lavare i piedi all'altro significa scendere dalla propria cavalcatura, scendere dalla pretesa dell'assolutizzazione della propria realtà, significa entrare in una dialogalità permanente per costruire nell'io, mediante l'altro, l'accesso agli altri.
Vedete che sto giocando con l'io, l'altro e gli altri cercando di recuperare in essi il Tutt'Altro che li genera e che è il punto di convergenza in cui ogni essere tende ad arrivare.
Questa convergenza unifica le risorse che sono presenti nell'io, nell'io in rapporto con l'altro, nell'io nell'altro e nella famiglia umana.
Se in questo spirito di solidarietà e collaborazione, c'è una relazione di servizio, si entra in collaborazione con un piano che realizza la persona. Cioè, la persona riesce a cogliere la sua dimensione direi missionaria, ma non intesa dal punto di vista religioso, bensì da quello genetico, di socio-biologia, missionario in quanto ogni realtà vivente porta in sé il bagaglio evolutivo che conduce la vita ad un'espressione massima che collima con la realtà del Vivente.
Ecco perché diventa fondamentale andare a recuperare il senso di quella cavalcatura su cui noi spessissimo ci poniamo con alterigia, con altezzosità. Per poter scendere dalla cavalcatura, chi più sa, trova che il malcapitato è quello che non sa; chi più ha, vede che il malcapitato è quello che non ha, ma il malcapitato rende capace l'altro di avere, ed avendo, può donare perché se non dona, è come uno che non ha. Naturalmente, quando diciamo "ha" ci riferiamo immediatamente all'avere e non pensiamo subito che l'avere coincide con l'essere. Quindi, noi abbiamo ciò che siamo.
Avere ciò che non ci costituisce è un avere estremamente periferico e nella perifericità la persona si aliena. La persona si realizza quando ha sé. E' in quell' "io" che si gioca la partita dell'esistere. Naturalmente, queste cose, dette con un susseguirsi di parole possono sembrare discorsi. Se vengono recuperati nella loro dimensione di riferimento semantico, ci interpellano: "Nella realtà, io in che cosa mi costituisco e come collaboro con l'altro per costruire l'altro in me, me e l'altro?".
Il futuro del Vangelo è concentrato in una realtà che è una Parola personalizzata. Il Vangelo è una Persona. E' il Verbo incarnato, è l'Io della seconda Persona trinitaria che viene in mezzo a noi e, personificato, si manifesta per stabilire relazioni tra quell'Io e ciascuno di noi che chiama per nome, ad uno ad uno.
Gesù ha lavato i piedi non solo a Pietro, ma a tutti quelli che si sono susseguiti nel nome di Pietro. Allora, il piede rappresenta la possibilità di intraprendere una relazione profonda dal basamento che è indicato appunto dal piede che è l'organo della deambulazione, dell'andatura, del fieri, del futuro, dell'andare verso, della finalizzazione, del recupero del possesso della vita che non è staticità.
Ogni qualvolta la vita viene intrappolata nella staticità, muore come vita. Il piede è l'elemento che ci fa andare. Se non vado, sono in una situazione statica. Questa apparentemente è rassicurante, ma essenzialmente è mortificante. Più sto fermo, meno vivo. Invece, siamo abituati a... "sistemarci".
Questo significa perdersi, significa dare all'io l'atto di morte. Se, invece, l'io vuole sopravvivere, ha bisogno di dinamicizzarsi permanentemente.
La morte è il massimo della dinamicità perché ci fa passare da uno stato ad un altro molto diverso da quello che viviamo.
Più il passo è lungo, più è accentuata la dinamicità. Se io mi sposto di un passo, ho fatto un passaggio limitato; se mi sposto di tre passi, ho effettuato un passaggio maggiore. Se mi sposto di tutti i passi, vado... nell'altro mondo che è la nostra realizzazione nella finalità ultima.
Per poterci andare, però, è necessario muoversi perché molti pensano di morire senza essere mai vissuti. Se non vivono e per poter vivere, si devono muovere, muoiono senza essere mai vissuti.
Apparentemente, questo sembra facile da capire (da "caput ire", "andare in testa"). Quando è andato in testa, lo prendo con me ("cum prendo"), lo comprendo con tutte le esperienze che mi costituiscono e non solo da adesso, ma da milioni di anni antecedenti di cui noi siamo la risultante perché non siamo nati come funghi. Noi siamo lo stampo di storie e storie pregresse.
Quando leggiamo che la mappa genetica degli uomini di oggi contiene il DNA occidentale, africano, asiatico, ecc., ci meravigliamo, ma questa è la radice per l'eliminazione del razzismo perché tutte le razze stanno dentro di noi, frutti di un miscuglio senza fine.
Ci rendiamo conto anche che in ciascuno di noi possono insorgere manifestazioni che finora non sono mai sorte. Per esempio, quello che succede nella mente, nei sogni, nella fantasia di ciascuno può non essere mai capitato nella storia dell'umanità ed è un risultato verificatosi esclusivamente in una singola persona e non in altre.
Apparentemente voi state tutti qua, però ciascuno ha delle aspettative diverse da quelle dell'altro e qualcuno può anche cominciare a chiedersi: "Ma vuoi vedere che non sono mai vissuto? Ma vuoi vedere che vengo deprivato dell'opportunità di... morire?".
Considerate quante cose diverse possono passare nella testa di ciascuno! Se quello che sorge in ogni persona potesse venire alla luce, qui avremmo una quantità di cose che si incontrerebbero e si scontrerebbero...
Che sarà della nostra dinamicità dopo la morte? La nostra dinamicità sarà accelerata perché non ci sarà più la trappola del tempo e dello spazio e si entrerà nella dinamicità spinta dallo Spirito.
Siamo nel momento dello Spirito. La Pentecoste non è quella del calendario, intrappolata nella ritualità, ma è l'intervento dello Spirito che "che soffia dove vuole e voi non sapete né da dove viene né dove va" ed è lo stesso Spirito che aleggiava sulle acque nell'atto della creazione perché questa non è avvenuta sic et simpliciter. La teologia dice che la conservazione è una creazione continua.
Se noi stiamo qua, vuol dire che siamo creati momento per momento. Se così non fosse, precipiteremmo nel nulla perché nessuno di noi ha una giustificazione all'essere in quanto siamo tutti precari, cioè carenti nell'essere.
Nessuno di noi può dire: "Io sono". Questo lo può dire solo Dio come fu rivelato a Mosè per cui se sei legato all'Essere, sei. Altrimenti non sei. Infatti, 100 anni fa non c'era alcuno di noi...
Ma che tipo di relazione abbiamo con lo Spirito? Noi non sappiamo neanche che tipo di relazione abbiamo tra noi e pretendiamo di capire la relazione antonomastica o quella dello Spirito che è talmente densa da personalizzarsi...
E' talmente densa, cioè, da essere paragonata al buco nero massiccio che attira a sé la somma delle galassie e persino gli altri buchi neri. Non tutti abbiamo la conoscenza di come in fisica, esiste una densità di materia spinta al massimo. La bomba atomica, per esempio, è capace di sprigionare tutt'assieme l'energia prodotta dall'elettrone intorno al nucleo attraverso millenni. Sul piano patologico, poi, l'epilessia scatena in modo sincronico la bio elettricità di tutto il sistema nervoso per cui mantenere fermo un epilettico è un'impresa non comune.
Allora, la relazione delle relazioni che corrisponde a quella con lo Spirito "che soffia dove vuole e voi non sapete né da dove viene né dove va", è ciò che succede a noi quando entriamo in relazione, è una dimensione intersoggettiva.
La soggettività, in quanto tale, sfugge ad ogni controllo. L'individualità, invece, si può pesare, misurare, ecc., ma ci riferiamo alla corporeità che viene delimitata dall'epidermide che quando arriva all'occhio, si trasparentizza e ci dà l'opportunità di far entrare un universo in noi e far uscire noi dal nostro universo.
La soggettività è irraggiungibile. Noi siamo sempre inaccessibili e misteriosi. Non si saprà mai che cosa c'è dentro una persona anche se si convive con lei per decenni. E quando uno parla, dice solo quel poco che sa di sé perché l'uomo è un mistero anche a se stesso.
Perché una coppia funzioni è necessario tener presente che i due componenti sono sistemi aperti, retti da una triplice legge: omeostasi, trasformabilità e integrazione.
Se c'è un'omeostasi molto rigida nella coppia, questa non funziona. Idem se c'è una trasformabilità accentuata. E' necessario che entrambi abbiano un orientamento a conservare il proprio equilibrio, ma abbiano anche la morbidezza di mettersi ciascuno nella linea dell'altro, altrimenti non c'è scambio.
La relazione, in quanto tale, si riveste di dinamicità. Quindi, il cambiamento è essenziale alla relazione perché questa si verifica mediante la comunicazione e la comunicazione deve rivestire la diversità permanente che accompagna e l'essere dell'uno e l'essere dell'altro.
Per questo motivo, Teilhard de Chardin chiama Dio "Evolutore". Dio stesso quando si mette in relazione con noi e lo Spirito "che soffia dove vuole e voi non sapete né da dove viene né dove va", è proprio quest'apertura all'imprevedibilità.
Ogni relazione autentica è sempre caratterizzata dall'irreversibilità del passato, dall'imprevedibilità del presente, dall'ineluttabilità del futuro e dall'imperturbabilità permanente.
Non mi devo sorprendere della diversità perché se lo faccio, mi chiudo e resto... sul cavallo.
Se, invece, voglio scendere ed entrare in relazione, devo essere disposto a non scandalizzarmi, altrimenti non divento accogliente e l'altro non si manifesta.
Come il DNA utilizza il pulcino per migliorare l'uovo e viceversa, così ciascuno di noi si riferisce all'altro per migliorare il proprio essere.
Questi sono solo degli spunti per... scendere da cavallo. Badate bene che il malcapitato non è solo quello che sta al di fuori di noi, ma può stare anche dentro di noi. Noi, in mano a noi, possiamo essere la rovina di noi stessi.
Ci dobbiamo chiedere: "Vuoi vedere che mi devo lavare i piedi perché lì trovo la sintesi di me e scopro che sono fatto per aprirmi progressivamente?".
Ma che apporto possono dare al miglioramento dell'umanità, l'uomo della strada, le persone comuni? Può la vita di una persona essere insignificante?
Ciascun esempio di vita è portatore di una tensione tale da evolversi prescindendo dall'atto di consapevolezza.
La consapevolizzazione è un'acquisizione del soggetto, ma il processo avviene indipendentemente da noi. Per esempio, quando mastichiamo il cibo, la lingua spinge la parte più grossa sotto i denti e la parte masticata al centro della deglutizione. Tutto questo avviene senza che ce ne rendiamo conto. Se lo facciamo... ci mordiamo la lingua! Questa fa delle cose che ha acquisito prescindendo da noi. E' un evento che si svolge con la massima naturalezza, ma il processo che ha portato la lingua ad avere questo comportamento, si è formato attraverso milioni di anni...
Gli antichi Greci non pronunciavano la C dolce, ma solo il suono gutturale. Poi ci siamo evoluti ed abbiamo elaborato un nuovo modo più facile di pronuncia...
I camaleonti, alcuni dei quali possono raggiungere anche i 75 cm. di lunghezza, cacciano la lingua come una freccia che cattura l'insetto e lo porta alla bocca immediatamente. Inoltre hanno elaborato il sistema di ruotare gli occhi in modo da non aver bisogno di muoversi per guardare e sono capaci di mimetizzarsi perfettamente con un ramo. Il camaleonte non è andato a scuola per imparare tutto questo. E' stato il processo evolutivo che lo ha portato ad assumere un comportamento che gli assicurasse la sopravvivenza.
Così noi stiamo cercando di trovare un sistema per sopravvivere al tumore, ma prendersi cura di sé per non dover curare le malattie è una cosa meravigliosa. Il nostro organismo è fatto proprio per questo.
Allora: non esistono vite insignificanti. Scendere da cavallo vuol dire entrare in una consapevolizzazione che ti fa sacramento, cioè segno, ma puoi anche esserlo senza saperlo. Se lo sai, hai anche la gioia della scoperta. Perciò "la Verità vi farà liberi", perché se non so, non posso godere della bellezza dell'essere.
Esopo racconta di un contadino, povero e malmesso che ogni sera usciva di casa, si recava in un luogo preciso, scavava, stava un po' di tempo lì e poi se ne andava. Esopo, andò a curiosare. Scavò nello stesso posto e trovò un tesoro, lo prese e ricoprì la buca.
Quando il contadino ritornò in quel posto e scavò, non trovò più il suo tesoro e iniziò a disperarsi. Esopo, allora, gli chiese il perché di tutto quel dolore e il contadino spiegò che lì sotto aveva sepolto un tesoro che rappresentava il risparmio di tutta la sua vita che lui veniva ogni sera a contemplare senza usufruirne.
Esopo gli disse: "Continua a venire come se il tesoro ci fosse ancora. E' la stessa cosa. Non ha senso avere quando l'avere non è il tuo essere. Ma se il tuo essere si identifica con l'avere quello che sei, hai risolto il problema".
Che significato ha la caduta da cavallo di S. Paolo? Allegoricamente significa che lui passò da uno stato ad un altro, ebbe una metanoia, un cambiamento radicale di orientamento.
Concludendo, ci dobbiamo chiedere: "L'io, chi lo conosce?".
E per quanto riguarda l'altro: "Siamo andati oltre l'apparenza per cogliere l'altro nella sua essenzialità?".
"L'altro ci ha portati agli altri?".
"E l'altro e gli altri ci hanno portati al Tutt'Altro?".
"Abbiamo correlato il Tutt'Altro con l'io?".
"E lo Spirito Santo ci ha messi nella condizione dell'acquisizione del nostro futuro?".
Ecco in sintesi il Vangelo del futuro!
Dall'incontro di questa sera può venire fuori una teologia personalizzata. La "Teologia della Liberazione" è una teologia da trattati. La teologia personalizzata è quella vissuta.
Se una persona assapora questa possibilità che ha in sé, ha risolto buona parte dei problemi che affliggono l'umanità.
Perché lo Spirito Santo è una Persona? Persona vuol dire che ha un'identità a sé, in sé e per sé. Se io mi metto in relazione con un altro, questa relazione non si consustanzia, non diventa una a sé.
La relazione tra il Padre e il Figlio non è una relazione accidentale, precaria, esterna, ma è una relazione corrispondente alla natura divina e, quindi, è il culmine dell'essere. E' una relazione talmente densa da avere il massimo dell'essere.
I marmi che stanno qui a terra hanno un essere che però è inferiore a quello della pianta che ha anche una sensibilità e delle caratteristiche di sopravvivenza e di moltiplicazione. Un cane, poi, ha una dimensione relazionale diversa.
Quindi il marmo ha con me una relazione di giustapposizione: gli sto sopra. La pianta reagisce se le strappo una foglia o la metto al sole o la espongo alla luce. Il cane stabilisce con me una relazione anche affettiva. Ma sono esseri diversi. Il mio essere è diverso da quello del marmo, della pianta e del cane. Anche Dio è diverso, ma Lui è il massimo dell'essere che è anche consapevolezza del Sé.
In Dio non c'è una situazione limitata, ma una relazione portata al culmine.
Quindi, lo Spirito Santo è sì una relazione, ma è simbolicamente rapportata al padre e alla madre che hanno la necessità di estrinsecare la loro relazione nella prole. Il figlio, quindi, è il culmine della relazione. Che poi ci siano delle relazioni che diventano solo rapporti, questo è un limite dell'uomo di oggi. Nei secoli futuri può darsi che la persona raggiungendo il livello di maturità, come nella triangolazione padre, madre, figlio, riesca a trovare non nella contrattualità, ma nella onticità, la mediazione piena del proprio essere.
Lo Spirito Santo, quindi, è la relazione d'amore tra il Padre e il Figlio da sempre. In Dio la relazione è talmente perfetta da personalizzarsi e lo Spirito Santo non è creato, ma è sincrono al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo "che soffia dove vuole e voi non sapete né da dove viene né dove va", vuol dire che non può essere programmato perché l'Amore non ha alcuna obbligatorietà.