2° INCONTRO DEL 16-10-2017 nella parrocchia di S. Maria della Libera

Quest'anno ci cimentiamo nell'approfondimento dell' "Evangelii Gaudium" ("Gioia del Vangelo") che è un'esortazione apostolica di Papa Francesco.

E' molto difficile fare questo all'interno di una chiesa perché, normalmente, le chiese hanno un non so che di tetro, sono caratterizzate da una pesantezza che elimina la vitalità mentre l'essenza della vita è il movimento. Cancellare il movimento dalla vita significa ridurla ad un... mortorio!

Papa Francesco pensava di convertire Roma, ma Roma è... inconvertibile perché è il simbolo di Gerusalemme dove arrivarono i Magi e dove la stella che li aveva guidati dall'Oriente scomparve (la stella è simbolica) per poi ricomparire quando i Magi uscirono da Gerusalemme. E' un modo per indicare che da tutte le parti del mondo gli uomini hanno trovato in Gesù Cristo la luce che mette...  alla luce la persona.

L' "Evangelii Gaudium" è difficile da capire per chi è abituato ad avere una visione frammentaria della propria identità, cioè a considerare di sé un fuori e un dentro. Di fronte alla spaccatura tra il fuori e il dentro, la persona vive la propria vita in modo "diabolico", cioè divisa, con una doppia volontà mentre il Vangelo è la sintesi di questi due poli, il fuori e il dentro che nel Vangelo si fondono.

Il Vangelo non è un libro, quindi bisogna cancellare dalla mente questo concetto e recuperare nel Vangelo una Persona per poi passare dalla Persona alla persona, cioè a ciascuno di noi.

Questo è il punto dolente perché noi pensiamo che il Vangelo sia una realtà che sta al di fuori di noi. Invece, avere a che fare con il Vangelo significa entrare nella profondità del nostro essere per creare un incontro con una Persona che ci... personalizza perché ci dà l'opportunità di entrare nel possesso della libertà intendendo per tale non la libertà nel fare, ma la coincidenza con l'essere profondamente ciò che è scritto nel nostro DNA.

L' "Evangelii Gaudium" è difficile da leggere perché Papa Francesco usa un linguaggio di vicinanza, di immediatezza e non più quello dottrinale che è stato sempre usato dai Papi e che rendeva i documenti pontifici trattati austeri e anonimi perché non si rivolgevano mai direttamente alla persona per incontrarla.

Papa Francesco dice che purtroppo i cristiani sono affetti da una... Quaresima permanente che non lascia venire la Pasqua. Tutta l'esortazione porta a considerare il peccato come il rifiuto del Vangelo.

Considerato che questo non è un libro, ma una Persona, rifiutarlo significa negarsi l'incontro con quella Persona. Ma l'incontro con Cristo presuppone che sia preceduto dall'incontro con la propria realtà personale, altrimenti non ci si potrà mai mettersi in relazione con l'altro.

Pertanto, insorge quasi in automatico, che non c'è Vangelo se non c'è comunità e non c'è l'incontro con Cristo se non c'è l'incontro con l'altro.

Non sto trattando un argomento da libro, ma un argomento di vita che non è un'astrazione, ma una dimensione del nostro essere.

Quando noi viviamo... viviamo, ma se non viviamo... non viviamo! Per poter vivere la nostra vita è necessario che questa sia la nostra vita che non è quella dell'altro. Possiamo relazionarci all'altro, ma mai sostituirlo né farci sostituire dall'altro perché la propria vita è unica e irrepetibile e perciò preziosa. E' il mistero della comunicazione che richiede un incontro personale.

La salvezza non è la cancellazione dei peccati. Il peccato è il rifiuto di scoprire chi si è, il rifiuto di incontrare sé.

Abbiamo la bellezza dell'opportunità che incontrando Cristo, incontriamo noi e veniamo alla luce e ci autogeneriamo se ci assumiamo il diritto di esprimerci nella nostra novità.

Vedete che implicanze questo porta! Se la società promuove la mia espressività, ben venga, ma se la società comprime la mia identità, la mia originalità, la mia eccezionalità, la mia unicità, vuol dire che non è favorevole alla mia crescita, alla mia realizzazione.

Ma come realizzare noi stessi in funzione alla società globale?

Quando diciamo "in funzione" perdiamo di vista l'aspetto ontologico della persona in quanto questa non può vivere "in funzione a",  perché è il tutto che deve essere funzionale alla persona, non esclusi i sacramenti.

Provate a vedere come noi siamo educati male in questo senso perché la nostra vita è stata orientata ad una gerarchizzazione di valori dove quello primario non è la persona ma la struttura.

Se andate a fare un'indagine retrospettica, troverete come durante l'inquisizione si martoriavano le persone e c'erano dei sacerdoti che redigevano un verbale mentre venivano torturate quelle considerate eretiche. Si arrivava a strappare i seni alle donne ritenute "streghe", si ricorreva all'impalatura e a far rotolare persone chiuse in botti irte di chiodi... Il tutto praticato in nome di Dio! Ma di quale Dio?

Nell' "Evangelii Gaudium", Papa Francesco dice che il compito missionario è quello di costruire una comunità vivibile dove l'uomo si possa realizzare nella sua autenticità, nel rispetto proprio e nel rispetto degli altri senza, cioè, funzionalizzare gli altri a sé né sé agli altri, ma nel rispetto del dialogo paritario dove l'identità dell'uno non entri in antagonismo con l'identità dell'altro così come avviene nell'organismo umano dove tutte le cellule entrano in una relazione democratica. Tra di loro non c'è una cellula che prevarica sulle altre, ma tutte sono coordinate al fine del benessere dell'unico organismo.

Allora dobbiamo fare prima un lavoro di smantellamento della vecchia mentalità come ha fatto Papa Francesco che ha rifiutato di stare nel Vaticano ed è andato a S. Marta e vive del suo stipendio. Questo non si era mai verificato. La struttura vaticana è di tipo faraonico: solo il Papa è il proprietario di tutto. Però il Papa nell' "Evangelii Gaudium" dice di non poter essere di esempio agli altri se prima non è lui stesso a convertirsi.  Evidenzia, così, la necessità di convertire il Papato e, quindi, le chiese dove le persone sono ammutolite mentre la chiesa è un'assemblea dove chiunque potrebbe parlare.

Noi siamo tutti imprigionati dal ruolo: quello dello studente nei confronti del professore e viceversa, quello della moglie nei confronti del marito e viceversa, dei genitori verso i figli e viceversa, ecc., cioè siamo tutti... arruolati.

Gesù Cristo viene a rompere le relazioni di consanguineità, quelle di ruolo, quelle di storia politica, ecc., ma noi abbiamo conficcato Gesù Cristo lì dove serviva per giustificare le nostre posizioni.

E così, in nome di Dio, benediciamo le armi, piazziamo i missili, ecc.. Ma oggi si sta facendo una grande pressione per eliminare l'istituzione dei cappellani militari perché una struttura militare confligge con una cappellania.

Quello che sto dicendo non è facile perché si tratta di andare a modificare la linea strutturale che conficca le persone progressivamente in una prigionia nella quale difficilmente si accorgono di essere e, quindi, non ne vengono fuori.

Sto soltanto percorrendo l'introduzione dell' "Evangelii Gaudium" le cui prime parole sono le più intense e riassumono tutto il contenuto. Ma noi consideriamo la gioia come un termine da vocabolario o come un elemento esperienziale? La leggiamo sui libri o la possiamo vivere? Che intendiamo noi per "gioia"?

"Evangelii Gaudium"... Nella sostanza, questo testo ci fa cogliere la permanenza dell'incontro con una Persona che non ci delude e che non ci lascia mai nella solitudine. Dunque, la gioia è l'esperienza di una persona che trascina dentro di sé l'altro e, così facendo, è in perenne compagnia.

Quindi, rompe la desolazione, rompe l'isolamento per entrare in una dimensione comunitaria, cioè partecipa al dono dell'altro che porta la ricchezza del Tutt'Altro, che è rivelativo dell'Assoluto al quale si tende. E si tende all'Assoluto non per poco tempo, ma per tutta la vita perché il senso non negoziabile della vita è la conquista della gioia come coronamento della felicità che è il possesso pieno di ogni bene. "Pieno" vuol dire: tutto, per sempre e senza limiti.

L'uomo, fin quando sta nella dimensione storica, è purtroppo limitato dalle situazioni crono - spaziali: se io sto qui, non posso essere lì. Se io ci sono adesso, non ci sarò tra un secolo.

Nell'intenzionalità, invece, io posso uscire fuori dalla dimensione del tempo e dello spazio e vivermi una dimensione senza limiti, posso essere nella ricchezza del totale.

Gesù Cristo disse: "Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo riedificherò". Questo conferisce al Vangelo una novità perenne perché la vita di una persona non può mai essere intrappolata in una realtà fissa, storica, definita, concettuale perché è fluida come il pensiero. Io domani non so e non posso sapere che cosa penserò. Se mi prefiggo già oggi il pensiero di domani, ho ucciso l'oggi e il domani... Gesù Cristo non programmava niente. Parlava dove si trovava...

Ma come fare, in questa società, a non dover pensare al domani, soprattutto per aiutare le persone care a stare meglio?

Il "dovere" mette in evidenza l'aspetto deontonomico della personalità, cioè quello retto, appunto, dal dovere, ma la persona è ontonomica, cioè è quella che è. Però noi tutti abbiamo dimenticato chi siamo perché siamo stati scolasticizzati.

Esiste la possibilità di avere una società senza scuola? Esiste. Tante società sono sopravvissute senza scuola, però è difficile.

Che possibilità abbiamo di conservare la nostra autenticità senza rompere i legami sociali? Ma quando ciascuno si mette in relazione vera con l'altro? Capita, invece, di essere talmente prigionieri del ruolo da non chiedersi mai a vicenda: "Ma tu che vuoi?" e così finiamo con l'essere imbrigliati in un modello di vita che non è il nostro e che ci condiziona al punto tale da non avere più la libertà.

Allora ci si dà al controllo sull'altro, alla gelosia, ecc..

Gli immigrati che stanno arrivando non riescono a capire il nostro modello di vita. Loro sbarcano senza possedere niente, ma giocano tutta la giornata. Così neanche noi li comprendiamo perché il nostro modello di vita è completamente diverso.

E' quello che stiamo inculcando ai bambini: a scuola tutti i giorni, tre anni di catechismo, i pomeriggi impegnati con ginnastica, musica, danza, tanto da non lasciare loro più tempo per giocare.

Ma il discorso di fondo è: quando noi ci incontriamo con un bambino per cercare di cogliere le sue esigenze? Abbiamo perso questo modello ed è difficile andarlo a recuperare.

Come si fa a ritrovare se stessi? Spesso questa ricerca comporta degli... scavi archeologici dentro di sé per vedere quali sono i propri modelli perché sopraffatti da quello che si "deve" fare, è quasi scomparso quello che si è.

Allora bisogna mettersi davanti allo specchio e farsi tre domande: "Sai chi sei?", "Sei chi sai?" e "Sei chi sei?".

Come persona mi rendo conto che se sto in apertura comunicativa con gli altri, sto bene, e sto meglio se l'altro comprende quello che io dico e penso. Se poi l'altro dice quello che pensa lui, sto ancora meglio perché mi arricchisco. Allora ci valorizziamo entrambi e da questo arricchimento reciproco, procediamo verso il benessere migliorativo.

Però questo richiede una sorta di superamento della "vergogna" di parlare (la vergogna è caratterizzata da tre elementi: gli altri, il corpo e lo sguardo).

Qua stiamo tutti semplicemente per aiutarci. Io dico queste cose perché ci siete voi che me le fate pensare e lo faccio sulla base di una mia esperienza interiore.

Una volta sono stato un mese intero nel silenzio totale a chiedermi: "Che cosa voglio?".

La struttura di qualsiasi società è sempre limitativa perché mentre la persona è libera se si esprime per quel che è, il compito della società è quello di rassicurare, ma se lo fa eccessivamente, toglie la libertà alle persone. Una volta il bilanciamento tra libertà e sicurezza era affidato alla comunità. Oggi è compito della persona trovare il modo di esprimersi senza perdere la propria identità.

Il modo per conoscersi è personale nella misura in cui un altro fa notare delle cose. Se si è disponibili all'ascolto, questo aiuta a mettersi in crisi (nel senso etimologico di "vagliare", "soppesare").

Questo è un momento che può generare una risposta di incontro personale con il Vangelo, caratteristica della Chiesa intesa come comunità e non come struttura.

La Chiesa non ha nulla a che vedere con l'edificio e l'organizzazione strutturale. La Chiesa è fatta dalle persone autentiche che fanno un tentativo di incontrarsi. Così capita che  possono far parte della Chiesa quelli che sono fuori mentre non fanno parte della Chiesa quelli che ritengono di stare dentro.

Abbiamo la possibilità di incontrare la Persona per antonomasia che è Gesù Cristo il quale arrivò a dire: "Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo riedificherò".

Lui aveva la sicurezza totale di essere se stesso anche se l'istituzione di Erode, di Ponzio Pilato, di Anna e Caifa, dei sommi sacerdoti, dei farisei e di tutto l'apparato sociale gli era contro tanto da metterlo in croce come un bestemmiatore fuori della città perché non contaminasse il suo territorio.

Noi aspettiamo che questo messaggio ce lo passi l'istituzione, ma l'istituzione (da "istemi", "sto") non può passarcelo perché è ferma mentre la vita è movimento. Dunque, l'istituzione non può essere messaggera di vita.

La contraddizione tra persona e società è una dialettica permanente. Se uno vuole esaltare la propria identità personale può farlo, ma rischia di uscire dalla società. Esiste però la via del compromesso operativo che consiste nello stare nella società, dire le cose che si pensano e cercare di mediare perché l'altro cominci a rendersi conto che quello che sente corrisponde a verità.

Questa è la posizione degli scienziati di tutti i campi e di tutti i tempi che hanno sempre avuto delle difficoltà, ma dalla dialettica sorge la possibilità di modificare un po' l'uno, un po' l'altro. Io adesso posso dire queste cose in una chiesa... Auguste Comte parlava della vischiosità della società.

Ma per scuotersi di dosso tutti i condizionamenti societari è necessario mettersi per un po' in isolamento? Se ci si mette in isolamento, questo toglie ogni possibilità di fare un'indagine approfondita su se stessi. Se, invece, ci si mette in atteggiamento di disponibilità (che non richiede l'andare in cima ad una montagna), si può cominciare ad apprendere. Si apprende molto anche dalle domande dei bambini di cui noi spesso andiamo a stoppare la curiosità.

Questo fa parte della dimensione unidirezionale della scuola in cui è inserito l'al-unno (così detto perché deve essere al-imentato). L'alunno ha bisogno di essere nutrito, però nella relazione intersoggettiva non c'è solo lui, ma anche il docente perché il bambino insegna all'adulto la sua realtà che è solo sua.

I bambini, gli animali, le piante e persino... le malattie ci possono dare degli insegnamenti, ma è meglio non ammalarsi. Bisogna prendersi cura di sé per non dover poi curarsi dalle malattie.

Se una persona sta bene dentro, è felice ed è difficile che si ammali e, se succede, il problema riguarda la malattia e non il soggetto.

L'importante è riuscire a recuperare il ben-essere che corrisponde a essere, perché se uno è, già è felice per questo. Il peccato è perdere la felicità. Però questa non va confusa con il piacere perché il piacere da solo non dà la felicità.

Si deve riuscire ad armonizzare il piacere (che aderisce al sensoriale) con la gioia (che inerisce al personale). La gioia è mia; il piacere, per esempio, di mangiare il cioccolato è delle papille gustative. ma se ho rubato la cioccolata ad un bambino non posso provare gioia.

Se uniamo il piacere con la gioia siamo sulla via giusta. Dobbiamo cercare di evitare le cose che ci danno fastidio e incrementare, invece, le cose piacevoli. Non ci vuole molto.

Se una cosa non vi piace, non la mangiate. Se vi piace, tanto meglio. Se fa pure bene, è ancora meglio. Se poi la mangiate insieme agli amici, ne fate... salute!

Gesù Cristo fu accusato di essere mangione e beone. Evidentemente era un tipo allegro perché se fosse stato un musone, non avrebbe avuto tanto seguito.

Ma perché la paura fa bloccare la gioia? La paura è un'invenzione proiettata. E' un fatto che parte da dentro. La stessa realtà può suscitare in uno ilarità ed in un altro una grande paura. La paura più frequente è quella di uscire dal proprio guscio protettivo, per esempio, con l'innamoramento. Chi si accorge che si sta innamorando, normalmente anziché andare verso la persona di cui è innamorato, preferisce parlare ad una terza e ad una quarta persona e quando si ritrova faccia a faccia con lui/lei, si impaccia. Significa che si mette in atto un meccanismo che strappa via dalla sicurezza della chiusura interna e questo è un fenomeno di burocratizzazione della propria identità, cioè si fa prevalere la sicurezza di non essere scalfiti dal rischio di non sapere l'altro chi è (in un rapporto di innamoramento non si saprà mai l'altro che vuole).

Oltre a questa prima paura di rompere il guscio protettivo, c'è la paura di rompere il guscio del ruolo, della sicurezza economica e di tutto ciò che ci protegge dall'esterno.

Invece, il coraggio di vivere nell'incontro è dato dalla sicurezza che si ha dentro per cui può crollare tutto quello che sta fuori senza arrecare danno.

La povertà di cui parla il Vangelo non va intesa come miseria, ma come libertà, come disponibilità ad abbattere la protezione esterna per far prevalere la certezza che la persona ha di sé.

Quando si è ben identificata, la persona ha l'opportunità di non aver paura di niente e di nessuno.

Gli eventi sono sempre caratterizzati dall'imprevedibilità. Poi bisogna vedere come vengono presentati dai mass media. La doxologia usa delle strategie particolari per cui se su 1000 notizie ne vengono scelte solo 5 tutte funeste, è chiaro che si fa vivere una situazione di terrore che genera sottomissione e richiesta di protezione a chi governa. Quindi, si va ad amplificare il potere della sicurezza per cui noi oggi siamo controllati per filo e per segno.

La cosa più semplice, allora, è capire chi si è e che cosa si vuole.

Gesù ha detto: "Sia il vostro parlare: sì, sì - no, no". Il problema è capire quando il sì e il no sono veramente nostri o sono stati immessi in noi. Il lavoro di epurazione spetta a ciascuno nella misura in cui ci rendiamo conto che possiamo liberarci da una serie interminabile di sovraccarichi moralistici, religiosi, culturali, societari, ecc. per poter avere un clima in cui la nostra accettabilità diventi fruibile per gli altri e ci renda più teneri nell'accoglierli.

Questi incontri ci devono servire anche per avere una relazione più semplice tra di noi, senza paura.