12° INCONTRO DEL 19-12-2016

Tra poco è Natale, ma questa festività non è legata al tempo perché il Natale è l'incontro del tempo con l'eternità.

Il tempo è l'immissione nel movimento che presuppone la materia. L'eternità è lo spirito che non è movimento e che coincide con la felicità. Non c'è possibilità di felicità nella materia perché in essa c'è sempre un quid di precarietà. Invece, la spiritualità ci mette sempre in relazione con la provvisorietà.

La precarietà ci fa cogliere l'aspetto di carenza e denota negatività. La provvisorietà, invece, ci fa vedere anticipatamente ciò che sarà e, quindi, denota la possibilità.

Il tempo e l'eterno si incontrano nel Natale perché il Natale è l'espressione completa dell'uomo così come sarà. Quel che saremo ancora non è visibile perché il visibile è solo ciò che non sarà.

Questo incontro-scontro è una realtà che si verifica nell'uomo dove c'è un quid di imponderabile spirituale che lui non riesce ad afferrare e poi c'è un bel malloppo di materialità che ha l'impressione di afferrare. Tuttavia, la corporeità, la materialità sfuggono all'uomo mentre le afferra. Quello che

rimane nella profondità è l'essere umano nella sua soggettività. E' l'io profondo. 

Viktor Frankl nel libro "Dio nell'inconscio" dice che nella profondità del nostro essere c'è questa realtà divina che è nella Sua immobilità perché è felicità perfetta mentre nella situazione storica l'imperfezione è visibile a colpo d'occhio (l'immobilità non contrasta con la definizione di Dio come "Evolutore" in quanto solo la mutabilità non è... mutabile perché è costante).

Questa ricchezza della nostra realtà che anela ad andare verso l'infinito, garantisce la felicità perché essere legato a quello che è misurabile e cronometrabile angoscia l'uomo. Infatti lui vede e tocca la materialità e si convince che è quella la realtà e, tuttavia, non è soddisfacente per la sua esigenza. L'altra parte, quella spirituale è il godimento profondo dell'essere.

Solamente quando questa seconda parte si mette in relazione con la prima e le due si armonizzano, allora l'uomo tocca... il cielo con le mani! Questa è una fusione che avviene nell'intimo di ogni persona ed è per questo motivo che tutto ciò che è riferibile all'Assoluto, al divino, non è mai contenibile nella categoria della definizione statica, matematica, dimostrabile, scientifica perché scientificamente, l'uomo non sa chi è.

Non c'è possibilità di esperienza se non nella evolutibilità. Noi ci evolviamo anche quando pensiamo di non farlo. E' difficile per noi cogliere l'esperienza della morte nella vita. Siamo abituati a considerare la vita e la morte in antitesi. La morte viene considerata come il perdersi, l'allontanarsi dall'essere. Però noi sperimentiamo di esserci solamente quando perdiamo il tempo. Gli ultimi cinque minuti trascorsi non ritorneranno mai più e lo spazio che stiamo occupando adesso, non l'occupavamo cinque minuti fa. Noi facciamo circa 170.000 Km. orari nei movimenti compositi perché la terra gira in un giorno intorno al proprio asse e in un anno intorno al sole. Con il sole va verso la costellazione di Ercole e con questa va verso il buco nero.

Noi ci muoviamo in continuazione, non stiamo mai fermi, ma chi di noi ha la percezione di essere in questo movimento? Chi di noi ha l'esperienza di vivere solo se muore? Chi di noi pensa di stare in quest'at-ti-mo? (perché mentre pronuncio la parola, questa già non c'è più).

Tuttavia, noi abbiamo la consapevolezza di essere nella permanenza e, anche sapendo che tutto finisce, viviamo come se nulla finisse. Quell'incrocio tra la relatività del tempo e la fissità dell'eterno in questo processo esperienziale dell'uomo non finisce nell'isolamento individuale perché l'uomo è in relazione con una quantità enorme di esperienze variate e, quindi, anche quando muore ed entra nel possesso dell'eterno, non perde il contatto con tutto il resto dell'essere e, comunque, continua ad evolversi. Quindi, il processo evolutivo permane nell'atto conoscitivo perché dopo morto la conoscenza dell'uomo non si esaurisce e la soggettività non tramonta.

Il nostro è un permanere nonostante l'evoluzione corporea. Il nostro "io" è lo stesso, permane anche se tutto il corpo è cambiato. La soggettività che non cambia mi dà l'opportunità di aprirmi al modello del Natale che non può soffermarsi nella categoria cronologica. Non sappiamo né il giorno né il mese né l'anno in cui è nato Gesù e non lo dobbiamo sapere perché altrimenti lo fissiamo nel tempo come se l'evento cristico potesse essere racchiuso nell'esperienza storica. Invece, il Natale riguarda l'uomo il quale non può essere racchiuso nella storicità anche se in essa si viene a trovare. Quando l'uomo si incontra con se stesso, con la sua profondità, non può fare a meno di sgusciare dalla propria realtà incrostata di esperienze che vengono prevalentemente dal di fuori e che qualche volta, toccano anche il di dentro tanto che il nucleo centrale si sclerotizza, si ferma, si fossilizza, addirittura si dogmatizza e finisce per diventare una definizione.

Ma l'uomo, nella sua realtà, non può mai essere definito. L'uomo è un processo, è un'avventura, è una relazione, è un'apertura, è una trascendenza... L'uomo è una poesia, ma la poesia è un fare non nella cronologia, ma nell'ontologia.

Il fare nella cronologia segue la successione del tempo. Il fare nell'ontologia è l'evoluzione dell'essere in tutte le sue dimensioni senza escludere l'aspetto della fisica.

Sappiamo che i buchi neri assorbono le galassie, ma non conosciamo se queste fuoriescono da un'altra parte con modalità completamente diverse. Il mistero deve avvolgere l'esperienza umana perché l'uomo non deve mai avere di sé una definizione perché questa comporterebbe una staticità intesa come immobilismo. Invece, la stabilità é intesa come processo permanentemente evolutivo nel modificarsi delle relazioni.

Spesso noi ragioniamo con una mentalità manichea: o io o il mondo, o il tempo o l'eterno. Proviamo a mettere "e" al posto di "o" ed allora ci rendiamo conto che il mondo e Dio non sono contrastanti, ma sono facce dell'unica realtà. Avviciniamoci all'uomo e non consideriamo più l'anima o il corpo, ma la persona che coniuga questi due aspetti.

Gesù è il nome personale attuativo del Cristo. Il Cristo è l'Unto. L'unto è la dilatazione dell'olio ed è la dilatazione della realtà divina per cui il Messia o Cristo è l'Unto di Dio ed è anche come la pelle di Dio che si estende con la sua elasticità fino a raggiungere la storicità inglobando con essa tutta l'umanità, anche quella antecedente e quella successiva a noi, nella dimensione dell'eterno.

Noi siamo chiamati a vivere questo mistero a Natale. Invece riduciamo il Natale all'albero ed ai regali più o meno da riciclare. Queste sono pastocchie che non hanno nulla a che vedere con il dono che l'uomo ha di essere capace di accorgersi di sé e di rendersi conto di essere un poema da leggere e da scrivere non copiando, ma rendendolo originale nella riproposizione. L'uomo quando se ne accorge, prende coscienza che c'è un mistero nel suo mondo di cui lui è generalmente portatore inconscio.

Questa bellezza del Natale ci fa capire come i miti della stella, dei magi, ecc. sono modelli culturali che vogliono aprirci al mistero, ma non a quello fuori di noi, bensì al mistero dentro di noi e recuperare quella dimensione sublime che disconosciamo. Ma laddove si apre una feritoia e l'uomo può entrare nel suo mondo, può leggere in esso la totalità dell'Esistente.

Questo è vero anche sul piano scientifico perché in ognuno di noi c'è il genoma umano con il bagaglio cromosomico dell'umanità. In alcuni si sviluppa in un modo, in altri in modo diverso, ma è sempre lo stesso. Ha varie manifestazioni più o meno imperfette. Qualche volta, se noi ci diamo da fare, possiamo sviluppare anche tanti altri aspetti più o meno chiusi e fermi. Questo riguarda la dimensione della preghiera intesa non come dire al Signore le cose che Lui già conosce molto bene, ma intesa come consapevolezza di essere realtà misteriche che anelano all'infinito. "Anelare" è proprio di chi non ce la fa a respirare e, quindi, va verso l'aria per ossigenare i propri polmoni e camminare sulla propria via in solitudine (intesa non come isolamento, ma come originalità personale).

L'uomo, allora nasce, quando nasce agli occhi propri. Questa nascita che avviene quando l'uomo si autogenera e si conosce e si riconosce come destinatario di un amore infinito, qualche volta è accompagnata dalle doglie del parto.

In questo punto focale dell'incontro del finito con l'infinito, l'uomo può veramente cogliere la sua pontificalità, il suo essere ponte tra il reale e l'irreale, tra lo storico e l'eterno, tra il visibile e l'invisibile. L'uomo quando tocca la mano di un altro, tocca ciò che quella mano ha toccato. Se ho la capacità di andare oltre l'aspetto percettivo e appercettivo e mi allungo nell'aspetto dell'emozione che si evolve nel sentimento, io posso toccare Colui che ha toccato la mano dell'altro che io tocco.

In effetti, io tocco il Creatore toccando una cosa da niente.

Pertanto, quando io tocco un sassolino o la sabbia del mare, io tocco i milioni di anni che sono passati sulla roccia, che l'hanno sgretolata e che mi hanno dato così l'opportunità di palpare quel sassolino e quella sabbia che diventano pregni di un messaggio che mi dà la possibilità di nascere a nuova vita.

L'uomo di fede (non dico "il cristiano") ha questa predisposizione a cogliere nella realtà (anche in quella apparentemente negativa), quel tocco dell'essere precario che richiama l'Essere Assoluto che lo ha generato.

Una volta mi trovavo in montagna sul Gran Sasso con in mano un Vangelo. Ad un certo punto lo lanciai nel dirupo perché il Vangelo libro deve evolversi in Vangelo persona che colga il contenuto del messaggio di un Cristo che nel Natale diventa Gesù non come persona singola, ma come Uno che vive in ogni uomo. Pertanto, ogni uomo diventa la manifestazione dell'unico Cristo che è il minimo comune denominatore di tutti. Ma noi poltigliamo l'uomo, compreso noi stessi e non abbiamo più l'opportunità di accorgerci con quale preziosità abbiamo a che fare.

Il nostro cervello ha milioni di sinapsi per cui ad ogni evento esterno si collega una quantità enorme di fatti che formano i pensieri. Se noi avessimo la possibilità di visualizzare quello che avviene nella testa delle decine di persone presenti davanti a noi, potremmo impazzire. Quello che si leggerebbe nei pensieri di ciascuno sarebbe impossibile da fermare perché è una cosa paurosamente immensa rispetto alla portata delle parole che  usiamo quando comunichiamo. Noi siamo abituati a ridimensionarci per cui la nostra grandezza ci sfugge. Abbiamo anche delle capacità presenti in noi che però non utilizziamo.

Tutti conoscerete il Kamasutra che nel mondo occidentale è considerato un libro pornografico perché vi sono illustrate le posizioni in cui fare l'amore, ma il libro vuole dire che se tu ti soffermi a pensare, le cose che apparentemente hanno una determinata caratteristica, possono essere lette in un modo completamente diverso per cui su un centimetro di pelle puoi stare a meditare una vita intera e vi puoi cogliere la ricchezza di Colui che... tocca.

Il toccare è sempre visto in senso negativo, ma proviamo ad indagare che cosa vuol dire per una persona sentirsi carezzata in un certo modo. C'è carezza e carezza...

Nel Vangelo (Mc. 5,25-34) troviamo l'episodio dell'emorroissa:

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ guarita dal tuo male».

Gesù si sentì toccato in un modo completamente diverso: era stato toccato da una che aveva capito bene che toccava... chi l'aveva toccata, cioè il Cristo.

Può darsi che uno non abbia mai "toccato" una donna pur avendo letto tutto il Kamasutra. Invece, se tu hai toccato il Cristo, puoi toccare tutte le donne, ma in un altro modo perché cerchi di coglierne la sacramentalità. Allora la corporeità non è antitetica alla spiritualità, ma è in composizione perfetta per cui tutto ciò che è materiale diventa sacramentale.

Celebrare il Natale tenendo presente questa dimensione, significa recuperare la possibilità di nascere con Colui che è nato e che continua a nascere nella perenne evoluzione del Natale.

Ma si può entrare in empatia con un altro anche senza toccarlo?

L'empatia avviene quando si crea una situazione affine tra le persone che si amano per cui c'è la possibilità di flusso energetico che rimane sempre nell'ambito del mistero. Oggi si studia, anche ad alto livello, quello che una volta era considerato un miracolo che avveniva in seguito alle preghiere. Oggi si usa fare una concentrazione di pensiero su una determinata persona che è malata e quella persona migliora. Non si riesce a capire come e perché, ma il fatto è sperimentato.

E' come quando gli uccelli, privi di qualsiasi mezzo di comunicazione, si radunano per migrare lo stesso giorno e partono tutti insieme. L'uomo non sa come avviene questo. Gli animali hanno un istinto sviluppato che l'uomo ha perso perché, attraverso milioni di anni, non si è più orientato con l'istinto, ma si è affidato alla ragione perdendo molto dell'istintualità. Ma ci sono cose che esistono nella profondità del nostro essere e che normalmente riappaiono alla vigilia della morte. Si verificano anche delle acutizzazioni sensoriali. La persona morente cambia il ritmo del rantolo se sente bisbigliare intorno a sé. Anche questo fa parte della nostra straordinaria ricchezza di cui noi siamo ignoranti. Se avessimo un po' più di morbidezza con noi stessi, ci ameremmo di più e ameremmo di più anche gli altri.

L'eliminazione di un altro, nel corso della storia, non è solo la cancellazione di una persona, ma è anche la cancellazione di una manifestazione di un essere dell'umanità che non ha avuto modo di evolversi. L'intervento in modo negativo su una persona non riguarda questa soltanto, ma tutta l'umanità perché ogni persona è una ricchezza per l'umanità intera, è un modello genetico con una caratteristica carismatica.

Il carisma è un dono dato alla persona perché ne fruisca il gruppo umano. Ciascuno di noi ha una quantità di doni non riservati alla propria persona, ma destinati all'umanità. La singola persona ne può fruire, ma partendo da sé, i doni devono espandersi agli altri.

Provate a pensare cosa hanno significato per l'umanità i carismi di Edison, di Einstein, di Marconi, ecc.. Le loro  invenzioni hanno giovato all'umanità intera e di invenzioni ce ne sono tante che noi non conosciamo perché il sistema di abbrutimento offusca i doni che sono a beneficio dell'umanità. La mentalità fruitrice e profittatrice impedisce, per esempio, di diffondere il sistema (già inventato) per produrre elettricità in modo semplice e senza spesa, perché si vanno ad intaccare tanti interessi. Il costo di alcune medicine, per esempio, contro l'epatite C è mantenuto talmente elevato da impedirne l'accesso...

Ma questo considerarci divini non può portarci al peccato di orgoglio?

Gesù è venuto a liberarci dal peccato che fondamentalmente è quello della paura come leggiamo nella parabola dei talenti (Mt. 25,14-30):

 «Inoltre il regno dei cieli è simile a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni.  A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità; e subito partì.  Ora colui che aveva ricevuto i cinque talenti, andò e trafficò con essi e ne guadagnò altri cinque.  Similmente anche quello dei due ne guadagnò altri due.  Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò, fece una buca in terra e nascose il denaro del suo signore.  Ora, dopo molto tempo, ritornò il signore di quei servi e fece i conti con loro.  E colui che aveva ricevuto i cinque talenti si fece avanti e ne presentò altri cinque, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti; ecco, con quelli ne ho guadagnati altri cinque".  E il suo signore gli disse: "Bene, buono e fedele servo; tu sei stato fedele in poca cosa; io ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore".  Poi venne anche colui che aveva ricevuto i due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, con quelli ne ho guadagnati altri due".  Il suo signore gli disse: "Bene, buono e fedele servo; tu sei stato fedele in poca cosa; io ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore".  Infine venne anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: "Signore, io sapevo bene che tu sei un uomo aspro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;  perciò ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco te lo restituisco".  E il suo signore rispondendo, gli disse: "Malvagio e indolente servo, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;  tu avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, al mio ritorno, l'avrei riscosso con l'interesse.  Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti.  Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha.  E gettate questo servo inutile nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti"».

Se il servo avesse investito quel talento anche senza frutto, sarebbe stato premiato come gli altri, ma lui stesso disse di aver avuto paura. La condanna, quindi, scaturisce dalla paura che sottintende il non riconoscere che Dio è Padre.

Per un lungo periodo, poi, abbiamo letto un'altra parabola chiamandola " del figliuol prodigo", ma che è invece è la parabola "del Padre misericordioso"...

Se non ci liberiamo da questa dimensione del peccato che ci perseguita, saremo dei... perseguitati!

Si fa peccato quando una persona non crede che toccando... la punta del proprio naso, tocca Colui che gli ha toccato la punta del naso! Stasera se vi toccate la punta del naso con tenerezza divina, fate una preghiera più grande di tanti rosari.

Bisogna cercare di  pregare come Gesù ha insegnato. Lui  se ne andava da solo, in disparte e se ne stava tranquillo tra sé e sé perché l'uomo ha anche bisogno di avere dei momenti in cui entra nel proprio spazio e lì incontra anche gli altri. Può anche stare sempre in mezzo agli altri e non incontrarli. Si incontra, invece, quando si carica dentro per sapere come guardarsi intorno.