1° INCONTRO del 09 ottobre 2017 nella parrocchia di S. Maria della Libera

    Benvenuti a questo inizio che è... senza fine!

L'inizio senza fine è il contatto con la speranza che è un auspicio, un vedere ad oltranza per cercare di estrarre tutto ciò che è possibile dalla miniera del nostro essere.

Il corso che cominciamo questa sera è una sorta di iscrizione all'elenco dei... minatori.

Cominciamo con un fatto veramente accaduto:

Nel 1960 Alexander Calandra, prima assistente di Enrico Fermi e poi professore di fisica alla Washington University, venne chiamato da un collega a dare un parere su un esame di fisica che consisteva in un singolo quesito. Il docente avrebbe voluto dare un bello zero allo studente, che invece sosteneva di aver risposto correttamente alla domanda, ritenendo quindi di meritarsi il massimo dei voti.
Nel silenzio imbarazzato tipico delle stanze in cui si creano disaccordi, Calandra lesse la domanda: "Com’è possibile determinare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro?".

Sotto, lapidaria, la risposta dello studente:

Portare il barometro in cima al grattacielo, fissarlo a una lunga corda, lasciarlo andare giù finché non tocca terra tenendo la corda con due mani, tracciare un segno sulla corda e tirare su il barometro. La lunghezza della corda, più la lunghezza del barometro, è pari all’altezza del grattacielo.

Calandra fece notare che lo studente aveva risposto correttamente, anche se forse non troppo coerentemente, e che quindi non aveva tutti i torti nel ritenere di meritarsi il massimo dei voti; d’altro canto, un voto alto in fisica certifica di solito una buona conoscenza della fisica.

Dalla soluzione proposta, purtroppo, non era possibile dire nulla al riguardo: che lo studente non sapesse un tubo, cosa che a Calandra appariva chiara, dalla risposta si poteva solo sospettare.

Calandra propose quindi al collega di dare allo studente una seconda possibilità, concedendogli sei minuti extra per pensare a una risposta diversa, sicuro che il ragazzo avrebbe rifiutato. Con sorpresa di entrambi, il ragazzo accettò.

Dopo cinque minuti, lo studente non aveva ancora scritto una singola riga: mosso a compassione, Calandra gli chiese se per caso non credesse fosse meglio ritirarsi. Il ragazzo rispose che no, non voleva ritirarsi; aveva semplicemente molte risposte alla domanda e stava pensando alla migliore.

Un minuto dopo, consegnò a Calandra e al collega un foglio con la seguente soluzione:

Portare il barometro in cima al grattacielo e appoggiarlo sul bordo del tetto. Quindi lasciarlo cadere, cronometrando il tempo che impiega a schiantarsi al suolo. Quindi, usando la formula S = 1⁄2 g t², calcolare l’altezza dell’edificio.

A quel punto, lo studente si prese il massimo dei voti. Lasciando lo studio, Calandra gli chiese se, per curiosità, poteva dirgli quali erano le altre possibili risposte.

"Be’" - fece lo studente - "si potrebbe portar fuori il barometro in un giorno di sole e misurarne l’altezza, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra del grattacielo. Con una semplice proporzione, si otterrebbe l’altezza desiderata".

"Ottimo. E poi?"

"C’è un altro modo, molto semplice, che si può usare. Si prende il barometro sotto braccio e si salgono le scale esterne al grattacielo. Man mano che si sale, si traccia un segno lungo quanto il barometro sul muro. Alla fine, arrivati in cima, si avrà l’altezza del grattacielo in unità-barometro".

"Un metodo molto diretto".

"Ah be’, se le piacciono i metodi sofisticati può sempre prendere il barometro e legarlo a una cordicella, dopodiché lasciarlo oscillare come un pendolo. Prima lo fa sul tetto del grattacielo, e dopo a livello del suolo. La differenza tra i valori di g, l’accelerazione di gravità, in cima e al suolo, le dirà l’altezza del grattacielo".

"Questo è un metodo un po’ impreciso" fece notare Calandra.

"Ha ragione" - ammise lo studente. "Se proprio vuole saperlo, secondo me il modo più preciso sarebbe quello di prendere il barometro e di andare dall’amministratore del grattacielo. Entrare nel suo ufficio, mostrargli l’oggetto e dirgli: "Signor direttore, guardi che bel barometro. Se mi dice quanto è alto questo grattacielo, glielo regalo”."

"Vuoi dirmi che davvero non sai la risposta che ci aspettavamo?"

"Certo che lo so. Ma mi sarei anche rotto le scatole di professori che invece di mostrarmi la struttura della materia che insegnano, tentano anche di insegnarmi come pensare".

Che cos'è la "catechesi"? E' un'appropriazione della capacità di pensare perché è ruotare intorno a Gesù Cristo che ha detto: "Io e voi siamo un tutt'uno". Quindi, Lui vuole che ci impossessiamo dell'uso delle facoltà che abbiamo, altrimenti stiamo anche noi con un barometro che non sappiamo come usare.

Qual è l'errore fondamentale? E' quello di ridurre la catechesi ad un'acquiescenza del cervello. Se si mette il cervello a riposo, si va in antitesi alla catechesi.

L'anno scorso abbiamo deciso di non chiamare più "catechesi" i nostri incontri che sono incontri di formazione per cercare di riuscire ad impossessarci del nostro modo di pensare al fine di liberarci da tutti gli schemi che ci sono stati imposti senza che noi ce ne accorgessimo e li approvassimo.

In parole più semplici: non c'è possibilità di incontro se non si dà l'opportunità all'altro di entrare nel nostro mondo e a noi di uscire dal nostro (ma che sia il nostro mondo e non quello che altri hanno messo dentro di noi cancellando progressivamente il nostro mondo).

Andare a recuperare la nostra preziosità significa fare i... minatori, cioè scendere nella profondità delle gallerie buie della nostra cecità per trovarvi la valenza che è nascosta nella nostra natura che per sua definizione, è una realtà che si evolve gradualmente al punto tale da sorprenderci quando siamo capaci di accorgerci che abbiamo molte più capacità di quelle che pensiamo.

Noi usiamo troppo spesso la parola "ormai" quando crediamo che avendo superato una certa età, non abbiamo più alcuna possibilità di innovazione. Invece, la vita non consente che si dica "ormai". La vita vuole sempre il "per ora".

Riprendendo il discorso dell'acquisizione della modalità del nostro pensiero, questo deve essere caratterizzato permanentemente dal non essere assuefatto. Il pensiero assuefatto non è pensiero perché è livellato e deprivato della caratteristica propria del pensiero che è quella di essere creativo. Se il pensiero non è creativo, allora è una ripetizione (le parole con "ri" sono contrarie alla natura che è una realtà che si genera). La natura è conoscenza, è generazione, è partorire allo stimolo che si riceve che è sempre nuovo.

La staticità fa a pugni con la natura che è tale perché cambia permanentemente e ci stimola sempre in modo diverso. E' proprio nella diversità che viene partorito il modo di pensare diverso.

Tutte le religioni (da "rilego", "rieleggo", "rileggo") sono contrarie all'umano che è pensiero, evoluzione, apertura al nuovo.

Sto cercando di mettere in risalto il modo con cui la persona, appropriandosi del suo pensiero, verifica che cosa compare dinanzi ai suoi occhi per interpretarlo. Il soggetto è sempre tale, non può essere oggetto. Restando soggetto, è lui che partorisce perché l'incontro del soggetto con l'oggetto produce il concetto, cioè l'oggetto colpisce il soggetto che lo coglie e genera il concetto che è la prima parte del pensiero. Due concetti, messi assieme, diventano giudizio. Più giudizi in sequenza, in logica, diventano ragionamento. Quindi, concetto - giudizio - ragionamento. Questa è la dinamica del pensiero. Nell'uomo non c'è mai la dimensione statica perché per sua natura l'uomo è progressivo.

Oggi, dopo la presidenza dei Cardinali Ruini e Bagnasco, ai vertici della C.E.I. è subentrato il cardinale Gualtiero Bassetti che ha invitato i vescovi a seguire la linea del Papa in un momento in cui c'è una lotta intestina nella Chiesa. Papa Francesco sta facendo un tentativo di sottrarre le persone al carcere della staticità. Ora bisogna vedere se le persone hanno la... vocazione ad essere carcerati o a fare i carcerieri. Ci sono alcune, infatti, che sono carceriere di se stesse e non si muovono perché il movimento dalle proprie certezze produce una grossa insicurezza per cui si richiede immediatamente protezione e questa è un limite alla libertà.

La sicurezza e la libertà devono essere bilanciate perché se più cresce la sicurezza, più decresce la libertà e viceversa. L'equilibrio prima era affidato alla comunità che si è talmente immunizzata da implodere. Ora è affidato alla singola persona la quale deve cercare di trovare dentro di sé il modo di proteggersi e, contemporaneamente, avere la libertà stabilendo un dialogo reale e non virtuale perché quello virtuale costruisce la rete, ma anche la ragnatela in cui si può rimanere soffocati e diventare prigionieri di se stessi.

Gli incontri che faremo quest'anno hanno la finalità di consegnare alla persona l'opportunità di prendersi in carico. Ognuno, cioè, deve avere la capacità di capire che la vita appartiene a sé. Anche i bambini devono sapere che la vita è la loro e non appartiene ai genitori tanto che quando vivono bene sentono di fare un piacere a questi e i genitori glielo fanno capire in questo modo. Quanto più i genitori fanno questo, tanto meno il figlio si rende conto che la vita appartiene a lui.

Che differenza c'è tra questi incontri e la scuola? A scuola si "deve" studiare, cioè la legge principale è il dovere e, quindi, lì comincia un processo deontonomico. Già questo primo ingresso nella società comincia a deformarci. Il bambino capisce che "purtroppo" si deve studiare.

Noi dobbiamo renderci conto che abbiamo una testa che non abbiamo fatta noi. Ci illudiamo di essere i proprietari della vita che, invece, ci appartiene per concessione. Abbiamo tutti il cordone ombelicale che ci mette in relazione con il flusso della vita da cui dipendiamo. Nessuno sa come sia sorto questo flusso che è partito da lontano. Noi ce ne siamo appropriati dimenticandoci che il flusso ci precede, ci accompagna e ci segue.

Fin dalla scuola ci si deve innamorare della vita. Se non lo facciamo, la scuola diventa una noia. La noia produce la nausea e la nausea il vomito che è il rifiuto.

La parola "scuola" (dal greco "scholé") significa "tempo libero", "tempo del divertimento", il tempo, cioè, in cui ci si può appropriare delle risorse personali che sono di una quantità enorme e si trovano dentro ciascuno di noi. A mano a mano che si riesce a metterle fuori, si diventa padroni della propria vita. Se, invece, ci si asfittisce, ci si incartapecorisce, si invecchia giocandosi la gioventù che non torna più.

Ai nostri incontri si viene gratuitamente e spontaneamente e solo le persone che non vogliono capire, non capiscono. ("Capire" da "caput ire" vuol dire "andare in testa". "Comprendere" da "cum prendo" significa portare dentro di sé in aggiunta alle proprie esperienze. "Intuire" da "intus ire" vuol dire "andare dentro" e "dire" significa "mettersi alla luce").

Questa non è una scuola dell'obbligo, ma è caratterizzata dalla libertà. L'obbligo è legante, è una tortura. Ma essere liberi non vuol dire, per esempio, poter prendere a schiaffi un altro perché così facendo lederei la sua libertà. La mia libertà è possibile se trovo una persona libera a sua volta che non mi provochi a darle uno schiaffo. Libertà è crescere insieme e creare un mondo vivibile per tutti.

Questo comporta accordarsi nella dialogalità che presuppone la parità perché il dialogo non è possibile se non in chiave di parità. Nessuno deve essere sottomesso ad un altro perché così subirebbe un torto. Il "diritto" (al contrario di "torto", "storto") è la garanzia della libertà. Per avere questa garanzia, ci obblighiamo ad osservare certe leggi.

Quindi, rispetto reciproco perché nella collaborazione è possibile la vivibilità.

Le cose acquisite da bambini si portano dentro per tutta la vita così come le relazioni fondate sulla dimensione umana profonda possono rimanere per sempre perché sono incancellabili.

Questo significa che se noi riusciamo ad entrare nel possesso pieno del nostro pensiero, se lo corrediamo della capacità di concettualizzare, di giudicare, di ragionare e, secondo il cambiamento esterno, cambiamo anche noi la nostra modalità di approccio alla realtà, la nostra vita si rinnova. Se, invece, non abbiamo la capacità di adeguarci alla nuova realtà che ci viene incontro, vuol dire che diventiamo di impedimento alla vita che si evolve.

Mendel fece dei grossi sforzi per seguire il cambiamento genetico. Lui era un monaco che lavorava al gelo per mantenere in vita le cellule che studiava non essendoci il frigorifero.

Quello che i ricercatori ci hanno trasmesso ci deve servire per cercare di portare avanti la conoscenza. Tutti noi utilizziamo solo una piccola parte delle nostre capacità. Perciò dobbiamo iscriverci al... club dei minatori per cercare di vedere nel profondo quante cose che abbiamo nascoste possiamo mettere fuori.

Per fare questo, abbiamo bisogno dello stimolo perché la presenza dell'altro è provocante. "Provocazione" significa "chiamare a vantaggio" ed è fondamentale per la vita. Se questa non ha provocazioni, non si apre al nuovo.

Allora, cancellate dal vostro vocabolario la parola "ormai" e sostituitela con "per ora".

Provate a pensare con la vostra testa senza farvi eccessivamente influenzare dal modo di pensare massificante. Einstein diceva che la scuola doveva smetterla di essere la rovina dell'umanità. Lui ebbe diversi problemi con la scuola che non era in grado di capirlo.

Oggi, dicevo, il nuovo presidente della C.E.I. vuole un episcopato della linea di Papa Francesco. Inoltre si fa un continuo ricorso a don Milani che fino a poco tempo fa era stato estromesso, a don Mazzolari che si pensa di beatificare, a Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, che diceva che l'impegno del cristiano è quello politico e non partitico perché i partiti producono tensione e nelle tensioni non è possibile la libertà di espressione...

Per potersi esprimere è necessario avere un clima accogliente, amorevole, tenero e disponibile. Questo possiamo crearlo anche noi. L'incontro è possibile se il contesto lo consente, altrimenti non c'è alcuna possibilità di imprimere il proprio essere nell'altro e lasciare che l'altro si imprima in noi.

Ma se è l'altro a non essere amorevole? In questo caso, non bisogna farsene una colpa. Dipende da te se tu non crei un clima amorevole, ma se è l'altro che non lo vuole in alcun modo, "scuoti la polvere e vai oltre" (cfr. anche il "privilegio paolino" I Cor. 7,12-15).

Se ti fermi sulla negatività dell'altro, ti rattristi, ti ritiri e per non soffrire ti immunizzi. Immunità e comunità sono antitetiche.

Quando il soggetto vuole essere molto immune, finisce per implodere e produrre ciò che vuole evitare. Si vuole, cioè, immunizzare per proteggersi, ma facendolo in modo esagerato, finisce col rimanere prigioniero della propria immunità.

Per questo motivo, il matrimonio non può essere considerato un contratto perché il contratto... contrae. Invece il matrimonio è un punto propulsivo perché io trovo nell'altro l'opportunità di manifestarmi nella mia totalità, nella mia autenticità. Quindi, scelgo l'altro come territorio accogliente che mi dà l'opportunità di esprimermi nella mia totalità. Altrimenti diventa un matrimonio morganatico (quello che contraeva un re con una plebea solo per usarla senza darle la dignità della dinastia).

Al contrario, Gesù Cristo è il matrimonio per antonomasia perché ci rende partecipi della Sua natura e ci offre la totalità della Sua essenza.

Il matrimonio è un sacramento in quanto è riferibile a Gesù Cristo, ma non può essere imposto a chi non ha ancora maturato la fede. Il sacramento è un segno che va trasceso altrimenti il matrimonio rimane un contratto che, come tale, si può anche sciogliere.

Per questo motivo io ero favorevole al divorzio, perché non si può imporre un sacramento a chi non ha fede e deve essere rispettato nella sua libertà.

Capita anche che se si vive intensamente l'amore, si sta in... regime sacramentale senza saperlo perché Dio è amore non solo per i cattolici. Il problema è che noi abbiamo considerato l'inclusione in Cristo attraverso i registri, ma questo è un meccanismo di potere. Figuratevi se Gesù faceva le iscrizioni nei registri! Lui parlava e diceva: "Chi ha orecchi per intendere, intenda!".

Il Papa è stato accusato di eresia. Il lavoro che noi dobbiamo fare è quello di contrapporre ad una mentalità di lamento sulle cose che non vanno, un pensiero positivo.

Se non senti da un orecchio, pensa che l'altro è sano. Se ti duole un dente, pensa che ne hai molti altri che non ti fanno male... La logica è quella di valorizzare la positività.

Devi vedere dentro di te se ritieni il Papa un eretico. Se lo consideri tale, tieniti a distanza da lui, però devi trovare una giustificazione dentro di te. Se tu consideri eretico il Papa, dai a lui il diritto di considerare eretico te.

Esiste la verità dell'eresia pensata e l'eresia della verità inculcata. Noi abbiamo propeso per quest'ultima che è mancanza di rispetto del pensiero dell'altro e abbiamo fatto le inquisizioni e le condanne al rogo. Questi sono meccanismi escogitati da chi vuole conservare il potere a tutti i costi.

Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II senza aver chiuso e fatto riferimento al Concilio Vaticano I, interrotto per la breccia di Porta Pia e che aveva sancito l'infallibilità pontificia.

Nel Concilio VaticanoII, a differenza degli altri, non ci sono scomuniche, ma solo proposte per crescere e non imposizioni ed esclusioni. Poi con Giovanni Paolo II, nel corso del suo lungo pontificato, fu ripresa la via dell'esclusione di tanti teologi che ora sono recuperati da Papa Francesco: Gaillot, Hans Kung, Boff, ecc..

Papa Francesco, rendendosi conto che nulla può fare per cambiare le cose, ha scelto la via della testimonianza. Naturalmente, nel nominare i nuovi vescovi dovrà avere un modello di valutazione diverso da quello che era centralizzato in Vaticano.

Questi discorsi vanno poi meditati per vedere se possiamo fare qualcosa in più per il miglioramento dell'umanità che è in noi e fuori di noi.

Tutti i miglioramenti che apportiamo all'umanità nella nostra esperienza, vengono trasmessi in automatico alla generazione successiva.